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Mangialibri | Gli altri fanno volume. Recensione di Mauro Maraschi

Genova, 2007. Paolo ha quarant’anni e dirige un negozio di musica della catena Mega Store. Dopo dieci anni di silenzio, il padre ricomincia a telefonargli, “come se fosse passata soltanto una settimana”, per poi sparire nuovamente qualche mese dopo. Quando Paolo scopre che è morto gli tornano a galla i ricordi di un’infanzia dimenticata. Approfittando del licenziamento, decide così di andare in Sardegna, nel paese natio del padre, per le pratiche dell’eredità: sull’isola, però, troverà molto altro. 1995. Paolo va per i trenta, vende polizze assicurative ed è stato lasciato da Caterina, per compiacere la quale ha perso nove chili in due mesi cibandosi solo di semi di zucca e Pocket Coffee. Vittima di cali glicemici, svarioni e collassi, si ritroverà a perdere la memoria proprio davanti a un delitto. 1978. Paolino ha undici anni, dei genitori separati, un’amicizia conflittuale con Andrea e una sensibilità particolare per gli eventi di quegli anni e per il rapimento di Aldo Moro. 2001. Paolo è appena stato assunto al Mega Store, il che inficia la sua passione per i gruppi di nicchia: “a furia di ascoltare la musica orrenda in negozio quando arrivo a casa ho bisogno soltanto di silenzio”. Coinvolto dall’amico Andrea nella circuizione della cantante del momento, Paolo assiste ai preparativi del G8, immaginando solo vagamente l’apocalissi che incombe sull’area blindata. 2012. Paolo è un operatore sociale, sta con Maddalena e si è messo nei guai con un’amante, il cui marito, un vigile del fuoco, “decorato per atti d’eroismo”, “il perfetto prototipo dell’uomo d’acciaio”, lo minaccia di morte. 2009. In carcere, dove ha trascorso tre mesi prima che l’accusa venisse ritirata, Paolo si procura un infortunio che lo porterà a scoprire altro sulla propria salute, a interrogarsi sulla vita e a ritrovare il senso e la speranza…

Sembrano le sinossi di sei racconti autonomi, e invece ci troviamo di fronte a un romanzo frammentato non per capriccio ma per necessità, una storia che non poteva essere raccontata altrimenti e i cui elementi sono stati rimescolati sapientemente per mettere in discussione le stesse dinamiche di causa ed effetto e l’affidabilità della memoria. Può capitare infatti che ne Gli altri fanno volume alcuni eventi recenti sembrino la causa di fatti passati, e che pertanto subentri la sensazione di assistere a un sogno o a un’allucinazione. Questo è ciò che succede a cinque dei sei Paolo, ognuno con un lavoro, una costituzione e una situazione sentimentale diversi, accomunati però dall’ostinazione a vivere (“io non mi abbatto mica, assecondo gli eventi e assecondandoli elimino le aspettative”) e dall’indistruttibile amicizia con Andrea. E non importano affetti perduti e malattie, licenziamenti e soprusi, colpe e baci: quando il passato è una bugia e il futuro una partita giocata ai rigori, non può esistere altro che il presente, vissuto come una vita a sé stante. Il risultato è una sorta di teoria degli universi paralleli che conduce però a un’unica inevitabile conclusione. Al fine di ottenere quest’effetto la struttura del romanzo, composta da sei capitoli autoconclusivi ma funzionali l’uno all’altro, si rivela inappuntabile. Ricca di non detto, la narrazione nasconde le emozioni dietro le azioni, onde evitare qualsiasi cliché, come nella scena del cinghiale: irrilevante nell’economia generale, eppure carica d’ansia, a tal punto da portare Paolo allo svenimento; al contrario, scene di panico come gli scontri del G8 sono una sequenza di fotogrammi sfogliata senza empatia. Una riflessione a parte merita lo stile, che è asciutto e descrittivo, idoneo al piglio nichilista del protagonista ma anche davvero lontano da quello rutilante di una delle opere più recenti e sorprendenti di Calvisi, Genesi 3.0 (Neo., 2018). Ciò non dipende soltanto dal fatto che Gli altri fanno volume è la riscrittura di Un mucchio di giorni così (Quarup, 2012), rispetto al quale ospita un capitolo in più: Calvisi, genovese, classe ’67, ha la tendenza a cambiare stile, struttura e intenti a ogni nuova opera, con i pro e i contro del trasformismo. Così, se nella sua stringatezza questo romanzo si può considerare riuscito sotto ogni punto di vista, e se Fanno dei giri immensi e poi ritornano (Les Flaneurs, 2019) è un buon esperimento concettuale, ci si chiede fino a che punto un autore possa portare avanti l’attitudine camaleontica, rinunciare alla riconoscibilità e aspettarsi fedeltà e fiducia dai suoi lettori. Calvisi è vulcanico, consapevole e sempre in grado di intrattenere, ma – a tredici anni dall’esordio con il divertente Il geometra sbagliato (Round Robin, 2007) – viene il dubbio che per ottenere la meritata visibilità quest’autore dovrebbe circoscrivere lo spettro delle possibilità narrative e consegnare un’opera che permette di inquadrarlo maggiormente.

 

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