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Squadernauti | Gli altri fanno volume

GLI ALTRI FANNO VOLUME

 

Gli altri fanno volume, titolo dell’ultimo romanzo di Angelo Calvisi (uscito per pièdimosca nel marzo del 2020), riprende una delle tre citazioni in esergo: Ennio Flaiano scrisse infatti che “I giorni indimenticabili nella vita di un uomo sono cinque o sei in tutto. Gli altri fanno volume”. E in effetti nel libro sono riportate, slegate dall’ordine cronologico e rappresentate da altrettanti capitoli, sei giornate della vita di Paolo Carta, in un arco temporale che va dai suoi undici anni ai quarantacinque, ovvero dal 1978 al 2012.È la frammentaria autobiografia di un individuo intelligente, malinconico, impacciato, autoironico e vagamente ossessivo, che attraversa la propria esistenza (e la storia, dal rapimento di Aldo Moro al G8 di Genova) desiderando di radicarvisi ma al contempo nutrendo profondi dubbi sulla possibilità di aderire a un’univoca forma e funzione che garantiscano stabilità, serenità, piena consapevolezza di sé.

E così Paolo cambia mestiere (venditore di polizze assicurative, impiegato e poi direttore di un grande negozio di dischi, infine cooperatore sociale), compagna, luogo (i due poli sono rappresentati da Genova e dalla Sardegna, regione dove è nato il padre, col quale Paolo ha un rapporto complesso e irrisolto, in qualche modo segnale della propria personalità). Verso questa mutevolezza il protagonista ha un atteggiamento curiosamente benevolo, quasi affettuoso: un espediente spesso utilizzato è quello della prospettiva ironica, alla quale è affidato il compito di disinnescare la drammaticità della vita e forse di scongiurarne la precarietà. Un esempio: “Oltre la finestra c’è Genova. Nella notte guardo le luci della città, è una parentesi lirica ininterrotta da una violenta erezione e da una voce che pronuncia il mio nome: non è uno spirito, sono io che faccio sogni stupidi”, p. 155.

Sono narrate vicende intime e pubbliche, amori e malattie, grossolani equivoci e birichinate giovanili (grazie anche alla costante presenza di Andrea, grande amico di Paolo nonché figura complementare, giacché dotato di intraprendenza spavalda e scarsa attitudine all’elucubrazione), con il solito stile brioso di Calvisi, qui particolarmente felice perché sempre scorrevole e asciutto, compatto, senza discese di registro o tentazioni di sperimentalismo che forse hanno un poco nuociuto ad altre sue opere. Momenti comici e tragici si alternano con un sapiente dosaggio di tempi e toni; o si compenetrano, come in questo passaggio: “È venuto fuori che in cooperativa sono considerato piuttosto bravo. Non che il mio lavoro sia complicato. Si tratta di rimanere umano in mezzo ad altri esseri umani, in definitiva quel tipo di occupazione per incapaci che non hanno qualità, senza prospettive di carriera, pagato poco. Quando ho cominciato la pensavo così. Più o meno la penso così anche adesso, l’unica differenza è che ora sono felice”, p. 148.

Ne Gli altri fanno volume c’è di più: curiosamente il libro, riscrittura aumentata di Un mucchio di giorni così, uscito per Quarup nel 2012, porta un titolo di significato contrario, là certificando l’ordinarietà delle giornate scelte a campione, qui la loro eccezionalità. Ma forse l’opposizione è solo apparente. Forse, nuovamente, è l’ironia di Calvisi a fare capolino dietro questo bizzarro mutamento paratestuale: giacché i giorni che compongono una vita si somigliano tutti, e tutti conducono al medesimo punto, è indispensabile alla sopravvivenza eleggere alcuni di essi a emblema, a segnavia. D’altronde, l’espediente stesso di presentare le sei giornate in ordine cronologico sparso potrebbe testimoniare la scarsa fiducia nella causalità oppure, chissà, somigliare a un rito scaramantico. Una simile scomposizione dell’elemento temporale, un’insistenza quasi compiaciuta verso la propria instabilità esistenziale, potrebbero davvero significare l’incapacità del protagonista di accettare l’univocità della vita, la sua finitudine: “Mi domando come sarebbe stata la mia vita se mio padre e mia madre fossero rimasti insieme.
Quasi certamente mi sarei trasferito in Sardegna e avrei avuto un’infanzia serena. Sarei stato in grado di riconoscere la pianta del mirto selvatico, e il cisto marino, e la rosola. Da adolescente mio padre mi avrebbe portato a caccia e mi avrebbe insegnato a individuare da minuscoli, insignificanti dettagli il passaggio delle volpi e delle lepri e a distinguere l’orma del daino da quella della pecora. Avrei fatto il suo stesso lavoro, accumulato quattrini, una capatina in politica mi avrebbe garantito un ruolo importante nel consesso sociale di Bitti, e non mi sarei ammalato, e mia sorella Francesca non sarebbe mai nata” (p. 189).

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    Angelo Calvisi

    Angelo Calvisi è nato nel 1967 a Genova. Prima di insegnare materie umanistiche in un liceo della sua città ha svolto mestieri disparati: il giornalista sportivo, l’attore, il compilatore di guide turistiche,…
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