pièdimosca edizioni

Lettore medio – Gli altri fanno volume

cover calvisiLa precarietà della mia condizione e del lavoro in generale era uno degli argomenti che toccavo con mio padre. Una volta, invece di tenersi sul vago come aveva fatto fino a quel momento, si era espresso con dei luoghi comuni di matrice neoliberista che in fondo non coincidevano con l’idea che mi ero fatto di lui.

Ci sono città che restano confinate sullo sfondo e città che diventano parte della storia. Genova, senza dubbio, fa parte della seconda categoria a prescindere dal romanzo nel quale viene inserita. Nel caso de “Gli altri fanno volume”, il nuovo romanzo di Angelo Calvisi (edito da Pièdimosca edizioni), la città cara a de André è parte integrante di un romanzo di formazione dalle tinte molto oscure.

 

Una storia che alterna piani narrativi differenti – l’alternanza tra presente e passato è utilizzata in modo impeccabile – e racconta la vita di un ragazzo cresciuto senza padre perennemente alla ricerca di risposte. In ambito professionale, nell’eterna lotta contro il precariato; in ambito calcistico – chi è tifoso del Genoa ricorda quanto sia stato difficile non abbandonare la squadra al proprio destino del decennio 1995/2005; in ambito sentimentale – tra amori miseramente falliti e storie che restano sempre sulla corsia dei veicoli lenti.

Calvisi non si risparmia e offre una realtà nuda e cruda nella quale non c’è spazio per i sentimenti, se non uno: l’opportunismo. Quello che ti porta a chiudere i conti col passato e ad affidare agli avvocati il compito di rappresentarti in caso di eredità o di causa contro il datore di lavoro.
“Gli altri fanno volume” è un romanzo per chi desidera fare i conti con sé stesso e desidera muoversi in una città capace di rinascere dopo qualsivoglia tragedia. Non è un caso che abbia fatto da musa ispiratrice a un certo Fabrizio de André.
Non aggiungo altro affidandomi alle parole dell’autore.

“Gli altri fanno volume”. Come è nato questo romanzo? 

Credo che la prima spinta sia stata la morte di mio padre. La prima parte del primo capitolo, dove Paolo, il protagonista, vive il lutto che avevo appena vissuto io, l’ho scritta di getto. La seconda spinta è stata la lettura di Dos Passos, non saprei dire perché, non mi pare che ci sia niente, nel mio libro, che ricordi “Il 42° parallelo”, eppure dopo aver letto quel romanzo grandioso mi si sono smosse le idee e ho ripreso in mano il tutto. Molto ho buttato via, qualcosa ho riscritto, il libro è uscito con un minuscolo editore in una prima versione (totalmente ignorata) nel 2012, e adesso Pièdimosca edizioni lo ha recuperato in una veste nuova, secondo me migliore, con un capitolo in più e una riscrittura piuttosto approfondita.

Premesso che non amo categorizzare i libri, possiamo parlare, nel tuo caso, di un romanzo di formazione. L’io narrante esce completamente trasformato lungo l’arco narrativo. Un arco narrativo che – come un elastico – hai teso e accorciato a più riprese. Quanto è stato difficile, ma nel contempo stimolante, lavorare con piani narrativi differenti e continui cambi di scena? 

Il senso del romanzo risiede proprio nella modalità a cui hai accennato. Non parlerei quindi di difficoltà, il mio progetto è stato quello fin dal momento in cui ho deciso di ampliare la prima parte, quella di cui parlavo prima. Quel tipo di modalità, o di struttura per meglio dire, allude a tutta una serie di temi che mi appartengono. L’arbitrarietà della memoria (molto spesso, per esempio Paolo non ricorda con precisione le cose, le travisa, si confonde), l’illusorietà del nesso tra causa ed effetto… poi, certo: scrivere comporta disciplina, la difficoltà eventualmente è connessa a questo aspetto e non al montaggio non convenzionale della vicenda narrata nel libro.

I personaggi sono in continuo movimento. Ci si sposta all’interno di uno stadio, tra le mura di una comunità oppure tra i vicoli della città. In questo caso si sceglie la Vespa. Espediente narrativo o mezzo per legare il tuo passato col presente? 

Il movimento per me è associato a un’idea del ritmo. Per me la letteratura è soprattutto questo: ritmo. I miei personaggi, sempre, sono come marionette, vanno di qua e di là, saltano, vivono. Non sono un fanatico dello psicologismo, in letteratura. Preferisco che la disperazione, la gioia, insomma i diversi stati d’animo dei miei personaggi siano mostrati. Come si dice? Show don’t tell. È per quello che, tendenzialmente scrivo in prima persona. Perché un personaggio che racconta una storia non si sofferma sulle motivazioni psicologiche delle sue azioni, ma le vive, le mette in scena. Tornando alla tua domanda, di certo la Vespa è un elemento simbolico che ritorna spesso, nei miei testi. Non so se sia un espediente narrativo e un mezzo per legare il passato al presente, ma di sicuro ha un valore simbolico che è molto connesso con la mia percezione di libertà, di anticonformismo. I miei personaggi sono sempre strambi, ma fondamentalmente liberi.

Veniamo allo sfondo della storia: la Genova del G8 ma pure quella degli anni ’90 e di una decade fa. Una città in continua mutazione, trasformatasi oltremodo dopo quel che è accaduto (ahinoi) sul ponte Morandi. Cos’ha da raccontare questa città dall’anima deandreiana

Secondo me la prospettiva è diversa. Non è Genova ad essere deandreiana, ma è De André a essere genovese! Sono contento che tu abbia colto il respiro di Genova, perché nelle mie intenzioni, più che uno sfondo, Genova doveva essere centrale, quasi come un personaggio e potremmo anche togliere il quasi! Genova è una città allegorica, non so bene di che cosa, ma mi pare che racchiuda qualcosa che ha molto a che fare con le istanze più profonde dell’umano. Punto di partenza e quasi mai d’arrivo, città da cui puoi essere ferocemente respinto, ma se per caso ci entri in sintonia poi è difficile disfartene. Genova malinconica come un barrio e luminosa come i tropici, piena di meraviglia, di fatica, di contrasti. Proprio come un essere umano dalla forte personalità. Ma lo sai che tra via Garibaldi, la strada più bella d’Europa secondo Rubens, e la sua parallela via della Maddalena, strada dello spaccio, della prostituzione, di splendidi ristorantini e maestose edicole ritraenti la Madonna, ci sono meno di cento passi? Che città formidabile. Io ci vivo da cinquantatré anni, a parte qualche anno di permanenza in Germania, e ancora oggi trovo angoli, botteghe, osterie nuove. Genova non è la città più bella del nostro splendido e disgraziato Paese. Napoli, per dire, è più bella. Però, come Napoli, Genova ha uno spirito che non è uguale a quello di nessun altro luogo, e si conserva inalterato, non si svende mai, neppure adesso che i turisti hanno cominciato a scoprirla.

A tuo parere come e quanto cambierà il settore dell’editoria (dalla produzione alle fiere, passando per le librerie) dopo questo periodo surreale che ci stiamo lasciando alle spalle? 

Non saprei. Spero che rappresenti un’occasione per ridurre il gap di visibilità che separa la produzione delle major dai libri degli editori indipendenti. Non so come, ma ho la sensazione che condizioni difficili come quelle che stiamo attraversando, possano dare visibilità all’opera davvero significativa, più che all’instant book massificato nelle pile chilometriche dei grandi store. Chissà. Forse cambierà anche il nostro modo di narrare. La distopia la stiamo vivendo, forse non ci sarà più bisogno di inventarla.

L’ultima domanda è freudiana: guardandoti allo specchio in quali personaggi (parlo volutamente al plurale!) ti rifletti e perché? 

Risposta a. Se ti riferisci ai personaggi del mio libro: io credo che la letteratura sia sempre autobiografica. Anche quando parli di alieni provenienti da lontane galassie parli di te, al limite parli delle letture che ti hanno formato. Nello specifico di “Gli altri fanno volume”, poi, siamo in un’autobiografia al quadrato, perché le vicende raccontate mi sono capitate tutte. Quindi sì. I diversi Paolo che animano le pagine del libro sono i diversi Angelo che ho avuto modo di incontrare in questa vita e quindi, per tale ragione, mi rifletto (con distacco, ma mi rifletto) in ognuno di loro.
Risposta b. Se ti riferisci a personaggi letterari in genere: sgangherati, beautiful loser, inconcludenti.
Ahi. Mi accorgo che, in fondo, le due risposte coincidono.

Titolo: Gli altri fanno volume
Autore: Angelo Calvisi
Genere: Romanzo di formazione
Casa editrice: Pièdimosca edizioni
Pagine: 190
Anno: 2020
Prezzo: € 15,00
Graphic novel consigliata: “Quella notte alla Diaz. Una cronaca del G8 a Genova” di Christian Mirra
Film consigliato: “Diaz – Don’t Clean Up This Blood” film diretto da Daniele Vicari
Colonna sonora ideale: Qualsiasi canzone di Fabrizio de André
Tempo medio di lettura: 3 giorni

L’autore
Angelo Calvisi è nato nel 1967 a Genova. Prima di insegnare materie umanistiche in un liceo della sua città ha svolto mestieri disparati: il giornalista sportivo, l’attore, il compilatore di guide turistiche, il geometra presso l’Ente Provinciale di Genova, il responsabile di un enorme negozio di dischi, il cooperatore sociale. Dal 2015 al 2017 ha vissuto a Bonn, dove ha insegnato Italiano. Ha pubblicato saggi, biografie, graphic novel e, soprattutto, molta narrativa. Nel 2018 è uscito al cinema il film “Lazzaro” che lo ha visto impegnato come attore e che ha sceneggiato assieme al regista Paolo Pisoni. I suoi ultimi romanzi sono “Fanno dei giri immensi e poi ritornano” (Les Flâneurs) e “Genesi 3.0” (Neo.), pubblicati nel 2019.

 

Gli altri fanno volume (Angelo Calvisi)

Si parla di:

  • GLI ALTRI FANNO VOLUME

    Angelo Calvisi

    Angelo Calvisi è nato nel 1967 a Genova. Prima di insegnare materie umanistiche in un liceo della sua città ha svolto mestieri disparati: il giornalista sportivo, l’attore, il compilatore di guide turistiche,…
    + approfondisci
    15,00